Marinetti introduce quest’opera del 1922 con uno scritto sullo stile parolibero per spiegare che il romanzo non è una storia d’avventure né un poema simbolico, non un romanzo fantastico né una fiaba o una visione filosofico-sociale.
Che cos’è, dunque, Gli indomabili? «È un libro parolibero. Nudo crudo sintetico. Simultaneo policromo poliumorista. Vasto violento dinamico».
Dell’ispirazione di questo romanzo Marinetti parla nei suoi diari, nel settembre 1920:
[Ho sognato dei strani soldati negri. Enormi, vestiti di bianco accecante armati di lunghi fucili a baionetta inastata e la faccia di carbone lucente, sudata ingabbiata in una forte museruola di ferro, rada come quella di certi mastini.
Al centro della museruola, sul naso rincagnato una serratura. Strane belve custodite e custodi di altre belve più feroci.
Strani delinquenti sorvegliati e sorveglianti altri delinquenti più feroci.]1
Marinetti dedica il romanzo a Benedetta.
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1 Taccuini: 1915-1921, a cura di Alberto Bertoni, Bologna, Il mulino, 1987, p. 503.
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Incipit de Gli indomabili
La Duna dei Cammelli
– Vokur! Vokur! Svègliati! Ho sete, – disse Mazzapà, negro erculeo biancovestito, seduto, con le gambe incrociate, nella sabbia rovente, e intento a pulire il suo fucile, che aveva sulla canna e sulla baionetta grappoli di scintille accecanti.
Sulla cresta della duna non si vedeva altra forma viva, cosicché il negro sembrava parlasse al deserto.
Pausa lunga di fuoco silenzioso.
– Vokur! Svègliati! Ho sete.
Un’altra forma viva modificò il profilo della duna: era Vokur che si scoteva senza svegliarsi. coricato sul dorso, con gli occhi socchiusi. La bocca aperta. Come un cadavere. Accanto, tre altri negri pietrificati dal sonno e dalla luce micidiale. Vestivano tutti, goffamente, una divisa di tela bianca da soldato coloniale. Nudi i piedoni neri quadrati dalle aperte dita-patate fangose. Nuda la testa sferica di carbone, con la riccia minuzzaglia dei capelli minerali. Ma avevano la faccia nera lucente ingabbiata da una stranissima museruola d’acciaio, rada come quella di certi mastini. Al centro della museruola, sul naso rincagnato, un’ancor più strana serratura.
Sembravano soldati carcerieri, ed erano museruolati come belve. Ciò avrebbe turbato, in un altro luogo, come può turbare un mistero pericoloso; ma sulla Dona dei Cammelli, nell’Isola degl’Indomabili, non c’era posto pel mistero.
Tutto si era chiarificato da una luce accanita, che avrebbe fatto certamente impazzire qualsiasi cranio europeo. Il galoppo delle calorìe nel cielo congestionato di fuoco preannunciava il meriggio tropicale. Furente, il sole scintillava come una scure affilatissima nel pugno alzato di un boia celeste. Sotto, tremava l’isola terrorizzata, irta di fiamme come la testa di un condannato. Luce. Silenzio. Destino.
Era forse un’isola dei mari africani. Ma dubito. Piuttosto, un’isola emersa nell’interno mare di lava di un vulcano. Aveva infatti per cielo la vôlta d’una immensa fornace. Atmosfera rovente, rozza, unta e arida insieme. Tattilismo solare di spugna scarlatta bruciante, carta vetrata e spazzole di ferro. Il calore infilzava. Pugnalava dall’alto ogni cosa. Ferocemente. Le divise bianche abbagliavano.
– Vokur! Svègliati! Ho sete e fame! urlò Mazzapà e la cornea giallastra dei suoi occhi sprizzò lividori crudeli.
- Gli indomabili
- Edizioni futuriste di “Poesia”
- 1922
- 184 pagine
- Lire 6
- Lo stile parolibero
- La Duna dei Cammelli
- La lotta delle due Oasi
- La fossa degl’Indomabili
- Il prete Curguss
- Kurotoplac, maestro di scuola
- Il chirurgo Mirmofim
- I velieri di carta
- L’apertura delle museruole
- L’oasi
- Le arpe vegetali
- Il lago
- L’ultima cacofonia
- L’orchestra vegetale
- La scuola della bontà
- L’accensione
- La città
- I lavoratori della luce e della carta
- La sommossa
- Culle, letti e tombe
- Verso il futurismo
- I fluviali
- La chiusa di cartone
- La morte di Mazzapà
- L’arte