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Mallarmé, Versi e prose

Nel 1916 l’Istituto Editoriale Italiano pubblica la prima traduzione italiana delle poesie di Stéphane Mallarmé, nella collana “Raccolta di breviari intellettuali”. È Marinetti a tradurre quest’opera.

Il volume aveva una rilegatura in cuoio scolpito a fuoco, con fregi in oro, più una sovraccoperta. I breviari furono un’idea di Umberto Notari, piccoli libri “taschinabili” con opere letterarie e di propaganda, destinati ai soldati al fronte, durante la Prima guerra mondiale.

4 delle prose proposte furono già tradotte in italiano nel 1888-1890 da Vittorio Pica: “Il fenomeno futuro”, “Lamento d’autunno”, “Brivido d’inverno” e “La pipa”.

Oltre a offrire ai lettori una panoramica sia dei versi sia delle prose del poeta francese, Marinetti dà di Mallarmé (1842-1898), autore passatista, una traduzione moderna e anche più prosastica, forse per il pubblico cui era destinata.

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Incipit di Mallarmé, Versi e prose

La disdetta

Al disopra del bestiame allibito degli umani balzavano, come luci, le selvagge criniere dei mendicatori d’azzurro che hanno il piede sulle nostre strade.

Un nero vento spiegato come bandiere sulla loro marcia, la flagellava, fin dentro la carne, d’un freddo tale che scavava anch’esso irritabili solchi.

Sempre con la speranza d’incontrare il mare, viaggiavano senza pane, senza bastoni e senza urne, mordendo il limone d’oro dell’ideale amaro.

I più rantolarono nelle gole notturne, inebbriandosi della felicità di veder scorrere il proprio sangue, o Morte unico bacio alle bocche taciturne.

La loro disfatta è inflitta da un angelo potentissimo ritto all’orizzonte nel nudo della sua spada: una porpora si raggruma sul seno riconoscente.

Essi poppano il dolore come poppavano il sogno, e allorché vanno donando pianti voluttuosi il popolo s’inginocchia e la loro madre ai alza.

Quelli sono consolati, sicuri e maestosi; ma trascinano ai loro paesi cento fratelli scherniti, derisorî martiri di casi tortuosi.

Il sale uguale delle lagrime rode la loro guancia soave, mangiano cenere con lo stesso amore, ma volgare o buffone il destino che li arrota.

Avrebbero anche potuto, come un tamburo, eccitare la servile pietà delle razze dalle voci sbiadite, uguali, essi, a Prometeo ma senza are avoltoio!

No, vili e frequentando i deserti senza cisterna, corrono sotto la sferza di un monarca iroso, la Disdetta, il cui ridere inaudito li prostra.

Amanti, egli balza terzo in groppa e divide tutto con voi! Poi, passato il torrente, vi tuffa in una pozza e della bianca coppia nuotatrice lascia un blocco fangoso.

Mercè sua, se uno soffia in una buccina bizzarra, dei fanciulli ci torceranno in un ridere ostinato, scimmiottando, col pugno al culo, la sua fanfara.

Mercè sua, se una donna si adorna a perfezione il seno avvizzito con una rosa che vergine lo riaccenda, della bava luccicherà sul fiore dannato.

E quello scheletro nano, con in testa un feltro piumato e cogli stivaloni, che alle ascelle ha, per veri peli, dei vermi, è per loro l’infinito della vasta amarezza.

Indispettiti, non vanno essi a provocare il perverso? La loro durlindana stridendo segue il raggio di luna che nevica nella sua carcassa e vi passa a traverso.

Desolati senza l’orgoglio che consacra la sventura, e tristi di vendicare dei colpi di becco le loro ossa, essi anelano all’odio piuttosto che al rancore.

  • Mallarmé, Versi e prose
  • Istituto Editoriale Italiano
  • 1916
  • 176 pagine
  • Lire 1,75
  • Versi
    • La disdetta
    • Apparizione
    • Petizione futile
    • Il pagliaccio punito
    • Le finestre
    • I fiori
    • Primavera
    • Angoscia
    • Stanco dell’amaro riposo
    • Il campanaro
    • Tristezza d’estate
    • L’azzurro
    • Brezza marina
    • Sospiro
    • Elemosina
    • Dono del poema
    • Erodiade
    • Santa
    • Brindisi funebre
    • Quando l’ombra della legge
    • Il vergine, il vivace, il bellissimo oggi
    • Per la tomba di Edgardo Poe
  • Prose
    • Il fenomeno futuro
    • Lamento d’autunno
    • Brivido d’inverno
    • La pipa
    • La ninfea bianca
    • L’ecclesiastico