C’è chi le protegge, chi le calpesta e chi le incendia. E poi c’è chi le spassatizza. Perché se è vero che una bandiera non può rappresentare il futuro senza caricarsi del sentimento del passato, i futuristi in tre occasioni diverse ne hanno rinnovato la potenza simbolica conferendogli modernità e dinamismo.
Oggi vi sveliamo tre curiosità storiche sul Futurismo e le sue bandiere.
La bandiera tricolore di 375 mq (ex 360)
Ideata da Mino Somenzi e donata a Filippo Tommaso Marinetti in occasione del Primo Congresso Futurista tenutosi a Milano dal 23 al 25 novembre 1924, la bandiera di 360 metri quadrati divenne ai tempi il Tricolore più grande del mondo. Quando quel giorno Marinetti fu portato in trionfo all’interno della Galleria di Milano, l’enorme Tricolore privo dello stemma sabaudo, proprio secondo i principi repubblicani espressi in Democrazia futurista, fu srotolato dalla cupola dell’ottagono irrorando il pavimento di rosso.
Marinetti, commosso, si chinò per baciarne un’estremità1. Nei giorni successivi non si parlò d’altro nei caffè milanesi. “Perché una bandiera così grande?” – si chiedevano i milanesi. Perché Marinetti era solito affermare che avrebbe preferito cadere avvolto nel Tricolore, piuttosto che ripiegarne un lembo2.
Ma conclusi i festeggiamenti del Congresso, quale è potuta essere la sorte di un oggetto così ingombrante? Sappiamo che nel 1925 il bandierone era in casa Marinetti, nel frattempo trasferitosi a Roma, grazie a un’intervista apparsa su «L’Impero» del 28 febbraio 1925. Il giornalista, congedandosi da Marinetti, nota nel corridoio una presenza ingombrante assai.
“Scusa, Marinetti: che cos’è quell’affare? – indicando una specie di collina di panno colorato che ingombra il corridoio”.
“Quella è la bandiera che mi fu offerta a Milano. La più grande del mondo”.
Fonti successive3 sostengono che nel 1926 l’immenso Tricolore fu donato a Mussolini per poi ricomparire in pubblico in occasione della prima Mostra d’Arte Futurista, tenutasi in Piazza Adriana a Roma dal 28 ottobre 1933.
Osservando il video dell’apertura dalla cineteca dell’Archivio Luce, possiamo ragionevolmente pensare che la colossale bandiera issata su quel pennone (definito aeroantenna INNOCENTI) sia proprio il Tricolore ideato da Somenzi. A tal riprova, presso il Fondo Somenzi del Mart di Rovereto è conservata una foto del bandierone con lo stesso “papà” Somenzi in secondo piano.
E non è tutto. La didascalia di una foto pubblicata in Futurismo, A.II, n. 58, 1933, diretta proprio da Mino Somenzi, recita testualmente: “La bandiera Futurista, la più grande del mondo (375 mq) illuminata da potenti riflettori [1933]”.
Ben quindici metri quadrati in più rispetto alle dimensioni ufficiali del 1924, un ricalcolo proporzionato ai gloriosi ideali cresciuti in quegli anni. Quanto alla bandiera? Chissà, forse è ancora nascosta da qualche parte, aspettando di sventolare per persone che abbiano “stoffa”, come quella degli uomini del Novecento.
Le cartoline con la bandiera futurista di Cangiullo
Dicevamo, la bandiera, nella sua semplicità, è un mezzo di comunicazione potentissimo. Quale occasione migliore per i futuristi di farne un autentico manifesto mobile per celebrare velocità e tecnologia?
È il caso della bandiera futurista ideata da Francesco Cangiullo, scrittore e giornalista napoletano, tra i più fervidi seguaci del movimento. Nella sua bandiera, il Tricolore viene sensibilmente alterato negli equilibri cromatici con il colore rosso che occupa più della metà dello spazio totale.
È Marinetti in persona a spiegarne la disarmonia cromatica giustificandola così: “Il Rosso invade e accende il Verde e il Bianco passatisti”. Il simbolo del sangue versato per la Patria doveva essere asservito alla causa Futurista, sintetizzandone gli ideali.
L’aspetto della bandiera di Cangiullo veniva già presentato schematicamente nel manifesto del 1919 “Che cos’è il futurismo. Nozioni elementari [versione con la bandiera futurista]” di Filippo Tommaso Marinetti, Emilio Settimelli e Mario Carli4.
Una bandiera che, grazie al potente e sintetico messaggio, fu utilizzata per creare uno stile comunicativo innovativo e ancora più immediato. Nel 1915, in pieno interventismo, vennero editate due cartoline postali illustrate a colori, proposte in due versioni cronologicamente consecutive di poco tempo: la Cartolina Futurista Tipo-Cangiullo dalla comunicazione postale decisamente rivoluzionaria per via del suo “formulario”, e l’iconica cartolina con la scritta “Marciare non marcire”, il celebre motto del Futurismo che esorta all’azione invitando a non cedere all’inerzia.
Quest’ultima fu talmente popolare che molti soldati al fronte la usarono correntemente per comunicare con i familiari, come testimonia la ricca bibliografia fotografica che immortala gli Alpini con la cartolina infilata sul cappello accanto alla penna5.
In pieno spirito Futurista, la cartolina con il formulario consentiva di sintetizzare la comunicazione in base a campi specifici: Futurismo, Guerra, Novità e Affari, Piaceri, Donne, Viaggi e Appuntamenti, Saluti o Insulti e la somma totale con cui informare rapidamente il destinatario con fatti e stati d’animo6. Geniale! Un’anticipazione, se vogliamo, della comunicazione moderna.
Marinetti e la bandiera bianca austro-ungarica
Da simbolo di resa a dimostrazione di guerresca provocazione. Come può una bandiera bianca, inequivocabile richiesta di tregua, tramutarsi in vessillo futurista?
Tutto è possibile quando di mezzo c’è il poeta combattente.
È l’alba del 29 ottobre del 1918, la linea del fronte è invasa dal fango e sul Piave ristagna la nebbia. Dalla trincea austriaca esce allo scoperto un uomo, un trombettiere. Non è solo, dalla foschia emerge un secondo soldato che imbraccia una bandiera bianca. Poco distante un ufficiale in alta uniforme li segue con in mano un fascio di documenti.
Il trombettiere intona il suono che indica il segnale del cessate il fuoco, e il soldato agita vistosamente la bandiera bianca. Un concerto di resa che negli ultimi tempi pare venisse intonato troppo spesso dagli austriaci a mo’ di bluff.
Ecco perché dalle postazioni italiane parte una raffica di mitraglia verso la delegazione di plenipotenziari austriaci che spezza l’asta della bandiera dilaniandone il drappo bianco e ferendo leggermente il trombettiere. Il gruppetto fu catturato e condotto a Padova, dove il 3 novembre del 1918 fu firmato l’armistizio che finalmente permise al Piave di smettere di mormorare.
Non è chiaro se il nostro fosse lì tra le file del Regio Esercito con la sua Alcova d’acciaio, o se incrociò il destino di quel bianco vessillo solo successivamente.
Fatto sta che, in una teca del Museo dei Bersaglieri di Roma di Porta Pia, è esposto il lembo di quella bandiera con, tra le altre, la firma autografa dell’incredibile Marinetti7.
Futurismo e bandiere: simboli che sfidano la bonaccia
Sulla luna, sull’Everest, su un fazzoletto di terra: laddove l’uomo abbia piantato una bandiera, vi ha portato la sua gente, il suo credo. Si può dire lo stesso in epoca moderna? No. Il rosso del nostro Tricolore è un rosso ormai sbiadito, nessuno è più disposto a versare sangue per la Patria. Per dirla tutta, nessun uomo oggi è abbastanza uomo per tirarsi giù il cappello al cospetto di una bandiera.
Tuttavia il Futurismo sfida questo declino: mentre il mondo rinnega o, peggio, mescola i propri colori, gli ideali futuristi non si spengono e sventolano indomiti alimentati da un vento che trascende ogni corrente. È una bandiera, quella concettuale del Futurismo, che ha sventolato controcorrente e che sventola ancora oggi.
Anche in assenza di vento.
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1 Bruno G. Sanzin, Io e il futurismo (confidenze in libertà), Istituto Propaganda Libraria, 1976.
2 Almanacco letterario Bompiani, 1925.
3 «L’Italia che scrive», Rassegna per coloro che leggono, supplemento mensile a tutti i periodici, Volume 47, 1964.
4 Manifesto del 16 febbraio 1919 pubblicato su «Roma Futurista», Anno II, n.7.
5 Maurizio Scudiero, Futurismi postali, Longo editore, Rovereto 1986.
6 Fonte pagina Facebook Mart Archivio del ‘900.
7 Emanuele Martinez, Il Museo Storico dei Bersaglieri. Nuove letture interpretative – 150° Anniversario della Breccia di Porta Pia 1870-2020, Gangemi Editore International in collaborazione con Esercito Italiano su licenza di Difesa Servizi.
Daniela, classe ’77. Patriottista militarista aspirante futurista. A volte turista.